
Oltre alle
fonti normative nazionali, il
Diritto del Lavoro italiano è regolato anche da
fonti sovranazionali. Quelle fonti, vale a dire, derivanti dalle organizzazioni internazionali di cui si prevede la rilevanza già dal dettato costituzionale (art. 35).
L’
OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) è una di queste. Ad essa è da imputare il principio della fissazione di
trattamenti retributivi minimi e, dunque, la limitazione della discrezionalità nella
negoziazione privata dei rapporti di lavoro. Tali principi dovranno, successivamente, essere fatti propri da ciascun ordinamento tramite la creazione di una normativa organica.
La
Comunità europea è, anch’essa, tra le fonti sovranazionali di direttive e normative d’orientamento nel campo del lavoro. Esse sono generalmente volte ad armonizzare il mercato del lavoro comunitario e ad abbattere le barriere contro la mobilità della forza lavoro al suo interno. Seguendo questi propositi, il Diritto del lavoro europeo è stato oggetto di tre trattati fondamentali per la storia della Comunità: il
Trattato di Roma del 1957, il
Trattato di Maastricht del 1991 e il
Trattato di Amsterdam del 1997.
Parlando delle normative comunitarie, esse possono contare su di un’
efficacia diretta e illimitata nel nostro ordinamento. Tanto da prevalere sulla normativa nazionale, nel caso di incongruenza.
Spesso, però, avviene che gli organi della Comunità europea seguano il
principio della sussidiarietà, concedendo agli Stati membri il compito di definire una normativa dettagliata entro i limiti delle regole quadro individuate dalle fonti sovranazionali, per permettere una maggiore prossimità tra il legislatore che opera nell’ambito del Diritto del Lavoro e il mercato del lavoro di riferimento.
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