L’abuso del corpo nel marketing management

5 Aprile 2011

Viene cronicamente portata alla ribalta del confronto pubblico una riflessione sull’abuso dell’immagine del corpo umano in pubblicità. Riflessione per la quale gli addetti al marketing management non vengono colti impreparati, poiché fa parte delle loro scelte quotidiane.

Nello specifico, il corpo femminile è spesso oggetto di ritratti al limite del pudore, o leggermente oltre tale limite, come “strumento” ben testato (e poco fantasioso) per attrarre l’attenzione di un ampio target. Le leve dello scandalo, dello sgomento o dell’attrazione mirano a una strategia di marketing managment fondata sul ‘purché se ne parli’. Ciò di cui non viene tenuto conto, però, è la sempre più diffusa percezione di un limite alla mercificazione dell’immagine umana e di un’assuefazione generalizzata alle metafore sessuali in pubblicità.

Elementi che potrebbero sortire effetti totalmente opposti a quelli attesi da chi ha pianificato la campagna pubblicitaria.

La campagna realizzata dalla nota azienda di moda Silvian Heach, ha riportato in auge il discorso dell’opportunità dell’utilizzo di immagini osé per la collezione primavera/estate a cura del fotografo Terry Richardson. Se ne parliamo anche qui, però, è perché tale campagna ha, in un certo senso, fatto centro.

A questo proposito, però, sarà bene valutare anche l’impatto di un’altra scelta di marketing management di valore esattamente opposto: quella del marchio di moda intima Yamamay. Le prossime campagne di questo brand sceglieranno la strada più complicata: fare a meno di modelle in pose sensuali, affidando il messaggio alla parola. Ciò richiederà, senz’altro, un maggiore investimento in creatività e copywriter di grande esperienza.

Scelta maggiormente coraggiosa se si pensa che ciò che suscita il fastidio, nell’opinione pubblica, non è tanto l’immagine del corpo in sé, ma il suo utilizzo a sproposito.

Con Yamamay si segna, forse, una nuova epoca del marketing management?

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