La Certificazione dei Professionisti Risorse Umane

26 Febbraio 2016

daniele piacentiniINTERVISTA A DANIELE PIACENTINI, SHRM-SCP
Direttore Risorse Umane del Policlinico Gemelli di Roma.

A quali bisogni dei professionisti HR risponde una certificazione professionale?

Credo che per il professionista possa essere un ottimo modo per mostrare all’esterno quello che è il suo bagaglio di conoscenze, di competenze professionali e capacità di applicare la teoria in situazioni reali, di fatto, visto che il nuovo modello di certificazione implementato da SHRM valuta le competenze applicate a casi concreti. Poi è sicuramente un ottimo modo per misurarsi con lo stato dell’arte della teoria e della pratica nella Gestione delle Risorse Umane. Quindi secondo me ha una doppia finalità: la prima esterna e coincidente con la possibilità di farsi certificare da un ente terzo il livello di conoscenze e competenze maturate; la seconda più interna e soggettiva consistente nel potersi confrontare e mantenere aggiornati con le nuove teorie, modelli e casi aziendali dell’area HR, condividendone il sapere e la discussione con i colleghi del settore.

Quali sono gli elementi che la certificazione aggiunge alla sua professionalità?

La certificazione aiuta a mantenersi aggiornati: spinge a continuare nel percorso di formazione stimolando l’aggiornamento continuo. L’acquisire la certificazione consente di confrontarsi con lo stato dell’arte delle teorie e pratiche HR e il mantenimento della stessa, con il meccanismo dei crediti, stimola a mantenere l’aggiornamento nel tempo. E’ un incentivo in più, non è che senza la certificazione uno non si aggiorni ma sicuramente la certificazione e il suo mantenimento include in un percorso che stimola l’aggiornamento. E’ come l’ECM per le professioni sanitarie: se interpretato correttamente nel suo spirito, è uno stimolo a mantenersi aggiornati e il possesso della certificazione garantisce alle aziende di assumere o avvalersi di un professionista aggiornato e interessato all’aggiornamento.

In che modo è venuto a conoscenza di questo tipo di titolo?

Sono iscritto a SHRM da tanti anni, credo ormai una decina, perché sono stato negli Stati Uniti per un’esperienza di lavoro di sei mesi in un ospedale, poi prolungata per ulteriori sei mesi, durante quel periodo sono venuto a conoscenza della certificazione parlando con i colleghi degli ospedali americani e la cosa mi aveva incuriosito. Tuttavia fino a pochissimi anni fa la certificazione era poco interessante se non per lavorare in USA dato che richiedeva la conoscenza del diritto del lavoro americano, cosa non certo stimolante, a meno non si avesse in programma di lavorare in USA o con aziende multinazionali americane. Da pochi anni invece hanno previsto una certificazione più internazionale – senza diritto del lavoro statunitense – e pertanto ho deciso di certificarmi.
Mi sono certificato nel 2014 col vecchio sistema, poi nel 2015 col nuovo.

Cosa ha significato per lei certificarsi, sia da un punto di vista personale che professionale?

Dal punto di vista personale è stata un po’ una sfida, perché come tutti i test, gli esami e le certificazioni implica un impegno perché si deve comunque studiare, capire l’oggetto e la logica di fondo dell’esame e implica sempre un rimettersi in gioco. Dal punto di vista professionale è stato utile per la ragione che dicevo prima, assicura di essere aggiornato in termini di conoscenze, di riflettere sulle proprie esperienze e facilita il confronto con colleghi anche di altri paesi e settori. Personalmente ho fatto un corso di preparazione negli Stati Uniti sulle tematiche della gestione delle risorse […] ed è stato davvero molto arricchente.

Quale consiglio darebbe a chi deve affrontare l’iter di certificazione?

Ritengo che per beneficiare sia dal punto di vista personale che professionale sia necessario farlo quando c’è già un’esperienza di tipo lavorativo di almeno tre/cinque anni. Dopo tre-cinque anni può essere utile a tutti: sia per fare un “check-up” delle proprie conoscenze, sia perché è molto utile in termini di networking e confronto professionale. Un buon suggerimento secondo me è quello di viverlo come un modo per accrescere le proprie conoscenze e per accelerare la propria esperienza e non semplicemente come un test o un esame da superare. Deve essere visto come un’occasione per migliorare la propria conoscenza e esperienza e in più, alla fine di questo percorso, se va bene, ottenere comunque una certificazione che poi è riconosciuta in modo oggettivo anche all’esterno. Oggi con il nuovo sistema per competenze la certificazione è meno legata a conoscenze e maggiormente ad esperienza sul campo, quindi lo studio diventa meno importante della capacità effettiva di gestione di problemi più o meno complessi. Oggi quindi serve studiare, ma sicuramente serve anche molto riflettere e sistematizzare la propria esperienza professionale per superare il test. Personalmente ritengo che fare un corso di preparazione alla certificazione e ritagliarsi il tempo utile per riflettere sulla propria esperienza, può essere sufficiente per affrontare la certificazione senza un eccesso di ore di studio teorico, come era invece richiesto nel passato.

Consiglierebbe ai suoi colleghi nelle Risorse Umane di certificarsi?
Ecco, non lo consiglierei appena laureati o appena entrati nel mondo del lavoro, credo che serva un po’ di esperienza per beneficiare di tutti gli aspetti positivi della certificazione che citavo prima. […] Poi ovviamente sono quei percorsi molto soggettivi, come la certificazione della lingua inglese: c’è chi la sa parlare e non si certifica mai e c’è chi ama certificarsi anche se parla la lingua meno fluentemente di chi non è certificato. Tutte e due situazioni legittime ma tra le due una azienda terza è più probabile che scelga una persona che ha l’esperienza certificata da un ente terzo, sia perché è un indicatore di interesse e passione per il proprio lavoro sia perché è garanzia di un livello medio/alto di competenze. Quindi uno lo deve voler fare, però credo che il fatto che ci sia una certificazione in questo ambito dia un valore aggiunto importante, soprattutto nei prossimi anni anche per quanto riguarda il contesto del nostro paese. Negli Stati Uniti ormai è una certificazione nota e ha un alto valore, a mio avviso in Europa e in Italia lo avrà nei prossimi anni: se si guarda in prospettiva penso che possa essere veramente utile soprattutto per chi vuole ragionare in termini di mercato del lavoro europeo o mondiale e non solo nazionale. Indubbiamente per un’azienda straniera il fatto che qualcuno possa avere questo tipo di certificazione può essere una garanzia che la persona abbia una formazione di tipo internazionale, e non sia legata solo al paese dove ha studiato e dove ha fatto una parte importante della sua esperienza.

 

 


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